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al testo di Patrizia Sardisco
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A te stessa
In alto, come bianchi zoccoli al sole luccicano per un istante i pugni prima di fondersi, a freddo, con il tuo involucro molle e cedevole di soffice pasta di pane. Colpiscono schiantano abbattono, sfondano il guscio al tuo albume che sfama illusioni, e i sogni e fiducia e speranza, le piccole lucciole ignare del poi, quel tuorlo di te e del tuo sciocco stupore che di nuovo davvero sia potuto accadere. È te stessa che il tuo Io ora odia, disprezza, quando cedi l’azione all’attesa zelante, paziente: avrà fine. È a te stessa che il tuo Io ora chiede perché, quando un freddo mattone pietoso solo rincuora il tuo viso. Ecco l’ultimo colpo sfiancato: è una firma, l’aspetti, e non fa quasi male. Dolore e rumori sconnesse impressioni, poi nitidi i passi e un tonfo, di là dalla porta, il suo sonno di stanco guerriero rivela. È te stessa il bambino che culli svegliato dal sogno più nero: è nulla, dai dormi. Dormi, son qui. È a te stessa che devi il soccorso, la fuga, il respiro: salvezza. In silenzio lo urlano i segni sul corpo che pregano, e pregano te: partorisci te stessa alla fine, una volta! E grida, dai grida, ma forte, dai grida che ti sentano i sogni e fiducia e speranza che accorrano, e ti portino altrove alla fine, una volta! Ma è una supplica vana, smarrita nel freddo viluppo di lacci che è trama e ordito di una nuova bugia: e ricomposta che hai la tua tela, ripieghi con cura e riponi al suo posto l’inganno a te stessa. |
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